Il silenzio e la solitudine

IL SILENZIO E LA SOLITUDINE

di Padre Ubaldo Cortoni, monaco benedettino camaldolese.


Percepiamo e viviamo il silenzio e la solitudine come una mancanza di parole nel momento in cui una relazione si interrompe, un legame si scioglie, o più semplicemente quando un rapporto è impedito da una circostanza, una condizione che amplifica il senso della distanza dall’altro.

Eppure né il silenzio né la solitudine necessariamente appartengono ad una esperienza di privazione. Una parola in una frase è comprensibile solo se ne rispettiamo la distanza da quella che segue: la sua solitudine, il suo essere parola, dipende da quel silenzio che sulla pagina bianca è lo spazio che la distanzia da ciò che segue; o sono quei muti e quasi insignificanti segni di interpunzione che modellano prima una frase e poi un periodo: , ; : … . sui quali si sofferma il nostro dire. Nel fluire dei nostri pensieri non riusciamo mai a focalizzare questo spazio, queste sospensioni tra una parola e l’altra, queste silenziose interruzioni che dettano il ritmo della frase. Eppure quando solleviamo la penna, – conclusa la scrittura di una parola per iniziare quella seguente -, viviamo senza saperlo quel silenzio e quella solitudine che sembrano opprimerci, quando si presentano nella nostra vita come ospiti non voluti e non desiderati.

Il silenzio è la solitudine sono la grammatica del respiro, la sintassi dell’anima che fanno di una singolare unione di consonati un suono, che apre un mondo per chi l’ascolta. Silenzio e solitudine sono l’anima del lettore, perché per leggere bisogna saper riconoscere ed interpretare quei silenzi: quanto è difficile leggere una poesia, se una poesia può essere letta! Perché il suo contenuto è il suo contenitore, cioè la parola.

Il silenzio e la solitudine ci guidano prima ancora che alla comprensione del contenuto alla relazione con il suo contenitore, lo scritto. Se riportate a noi, silenzio e solitudine, aprono prima alla relazione con noi stessi e solo in un secondo momento ci guidano alla comprensione di noi stessi…

Il silenzio dunque non è nel fluire dei pensieri o nella ricerca di ricordi, ma è un fermarsi nella solitudine di una stanza tutta per sé (Virginia Woolf, A Room of One’s Own). Questa stanza al principio è un luogo fisico, delimitato da pareti sulle quali l’apertura di una finestra appare al principio come una via di fuga, un’interruzione del monotono susseguirsi delle pareti. Eppure ciò che sembra monotono, il silenzio delle mura nella confusione iniziale dei nostri pensieri, è quello che dà valore alla luce che entra dalla finestra. Quella ferita nella tessitura delle pareti, quella semplice finestra, che ci appare come la soluzione alla solitudine della stanza, è in realtà un inganno se la nostra attenzione è attratta da quello che mostra all’esterno, invece di illuminare con la sua luce quello che sta all’interno.

Il silenzio e la solitudine di una stanza ci spaventa perché non sapendo più leggere, cioè ascoltare, – perché un lettore prima di tutto è chi sa ascoltare -, ci sfugge la grammatica della nostra vita, o meglio non il significato della nostra esistenza, ma la vita che fluisce in noi, il respiro, quel silenzioso ritmo del nostro respiro, che come i segni di interpunzione sulla pagina, sfugge alla nostra attenzione.

In una stanza dove ci siamo noi e null’altro che noi a tenerci compagnia, il respiro diventa l’unico linguaggio capace di aprire un varco nella nostra interiorità, un invito a diventare i compagni di noi stessi, senza giudizi o pregiudizi, ma semplicemente accompagnati ad ascoltare il nostro corpo attraverso il respiro, ciò che più di ogni altra cosa unisce interno ed esterno, quello che unisce la nostra singolarità riconquistata ad ogni altra vita.

Il silenzio e solitudine, come quella di una cella eremitica, alla fine di tutto, diventano la condizione che ci permette di riappropriarci della nostra vita, capace di ricondurre i bisogni all’essenziale, al respiro, alle pause a cui la scrittura affida il ritmo di una frase. Silenzio e solitudine permettono ad una finestra di illuminare l’interno della stanza; ci permettono di non cercare noi stessi all’esterno ma di fermarci all’interno, di contemplare quanto quella stanza custodisce e si offre al nostro sguardo. Silenzio e solitudine sono l’ascolto che permettono al lettore di gustare la parola.