E pensare che non le avevo notate, le mani di Gigi. Nemmeno i suoi occhi. Ma la voce, di quella mi ero accorta perché mi aveva investita con una cascata di dolcezza e mi ero ritrovata avvolta nel silenzio di parole che mi avevano lasciata senza parole.
«Ero timido da far schifo – dice Gigi – non riuscivo a guardare nessuno negli occhi e più nascondevo il mio difetto, più si vedeva e più mi distruggevano. Mio padre gridava “Sii forte” come a dire che così com’ero non valevo nulla.
Ma chi l’ha detto? Hai notato che se hai un figlio timido è il più sensibile di tutti? Non la vedi che quella è la parte più bella che ha? Invece che distruggergliela, la sua fragilità, insegnagli ad amarla, perché non ci si crogioli dentro, ma la faccia diventare la sua vera forza».
Gigi, la timidezza, l’ha guarita imponendosi per un anno di fissare ogni persona negli occhi. Sudava, ma non scappava dagli sguardi e adesso non ha paura nemmeno di parlare della sua focomelia e di quando, al mare, i bambini gli davano del monco per le sue dita malformate, e dello zoppo per la sua andatura incerta data dai piedi, anch’essi vittime del talidomide
(un farmaco che negli anni 50 e 60 le donne gravide prendevano per alleviare la nausea e che ha causato in moltissimi nascituri alterazioni congenite nello sviluppo degli arti).
«Adesso vedo quanta bellezza c’è in queste mani e le uso per realizzare, oltre alle icone, oggetti fatti con i ferri vecchi dei contadini. Queste dita – dice mostrandole – sono creatrici di armonia e grazia».
Don Luigi Verdi, detto Gigi, è diventato l’uomo che oggi è grazie ad una crisi, arrivata dopo 7 anni di sacerdozio, che gli ha fatto percorrere le strade della Bolivia con i ‘Campesinos’ e poi le vie del Sahara di Charles de Foucault con i Tuareg.
Poi, un mese prima di tornare in Italia, la grande domanda gli è esplosa dentro: «Quali sono le vere cause della mia crisi?» Risposta: «Non accetto la mia timidezza e nemmeno le mie mani»
Fu allora che gli balzarono incontro le parole del salmo “La pietra scartata è diventata la pietra angolare” e che si chiese: «Perché questi occhi impauriti e queste dita monche non possono diventare il meglio di me?»
Grazie a questa presa di coscienza, Don Luigi è riuscito a trasmutare la sua debolezza in forza e oggi, alla Pieve romanica di San Pietro a Romena (Pratovecchio Stia AR), il suo sguardo accoglie e fornisce ristoro alla sofferenza di migliaia di persone, mentre le sue instancabili mani continuano a creare bellezza. Ovunque, in questo luogo incantato, si respirano armonia, pace, tranquillità. Assenza di tempo che diventa pienezza di Tutto.
«Le cose più belle che ho – conclude – sono i miei occhi e le mie mani e a te dico: se ti è andato male un pezzo di vita, invece che lamentarti, usalo per rimpastarlo e rilanciarlo in avanti, così da rendere le cose peggiori, il meglio che hai».
Queste parole di Don Verdi arrivano dritte a quel frammento di vita guasto che giace silente in ognuno di noi affinché, donandogli amore, possiamo farlo diventare la pietra portante della nostra storia.
Per non essere più rotti dentro. Per fare delle cose peggiori, il meglio di noi. E da lì ripartire.
Articolo pubblicato sul Giornale di Brescia.