L’imbroglio dello zucchero

La mia convinzione che il consumo elevato di zucchero danneggi la salute data da ben prima che il mondo scientifico se ne accorgesse. Il mio pregiudizio era basato sulla considerazione che lo zucchero (il saccarosio o gli sciroppi di glucosio e fruttosio che stanno soppiantando lo zucchero nei prodotti industriali) è un alimento estremo, estremamente yin secondo la visione macrobiotica, una sostanza chimica pura al 99,5%, consumata isolata dalle centinaia di sostanze che la accompagnano in natura, ad esempio nella frutta, nel miele, e anche nella canna e nella barbabietola. Fino agli anni 2000 non c’erano studi che dimostrassero solidamente un legame fra consumo di zucchero, obesità e patologie croniche. Erano disponibili solo studi “trasversali”, studi in cui si confrontava, ad esempio, il consumo abituale di zucchero di persone normopeso, sovrappeso o obese, e che mostravano generalmente che i grassi mangiavano meno zucchero dei magri. Oggi sappiamo che questi studi sono del tutto inaffidabili perché confondono la causa con l’effetto: gli obesi mangiavano meno zucchero perché sapevano benissimo che lo zucchero fa ingrassare (erano gli scienziati e i medici a non saperlo!). Fin dagli anni ’60 del secolo scorso, in realtà si era sospettato che il consumo di zucchero avesse a che fare con l’obesità e le malattie cardiovascolari, ma autorevoli revisioni della letteratura scientifica avevano concluso che le prove erano inconsistenti. Una recente analisi storica degli archivi dell’università di Harvard rivela oggi che alcuni grandi professori che avevano firmato questi lavori erano a libro paga dell’industria zuccheriera (Kearns CE et al. Sugar Industry and Coronary Heart Disease Research: A Historical Analysis of Internal Industry Documents. JAMA Internal Medicine, 12 Settembre 2016) . Come l’industria del tabacco, anche l’industria alimentare investe molto per nascondere gli effetti nocivi dei suoi prodotti. Negli ultimi 15 anni decine di studi prospettici, cioè studi in cui si indagano i consumi abituali di un gran numero di persone e poi le si segue nel tempo per confrontare cosa mangiava chi poi si ammala con chi non si ammala, hanno dimostrato al di là di ogni ragionevole dubbio che il consumo di bevande zuccherate è associato ad un rischio significativamente aumentato di diventare obesi e di ammalarsi di diabete e di cuore. Il ruolo degli zuccheri aggiunti ai cibi solidi è più difficile da indagare ma oggi è chiaro che il consumo totale di zuccheri aggiunti (esclusi quelli naturalmente presenti nei cibi) è fortemente associato alla mortalità cardiovascolare (a parità di altri fattori di rischio: età, genere, etnia, tabacco, alcol, stile alimentare, calorie totali consumate, attività fisica, pressione arteriosa, farmaci antipertensivi, lipidi plasmatici, indice di massa corporea, storia familiare di malattie cardiovascolari). Rispetto a chi consuma meno del 10% delle calorie totali sotto forma di zuccheri aggiunti (come raccomanda l’Organizzazione Mondiale della Sanità), la mortalità di chi ne consuma fra 10 e 25% (quantità suggerita come innocua dall’industria alimentare negli USA) è del 30% superiore, e la mortalità di chi ne consuma più del 25% cresce del 175% (Yang Q et al. 2014 JAMA Int Med 174:516). In questo studio il 37% dello zucchero derivava da soft drink, il 9% da succhi di frutta zuccherati, il 26 % da dolciumi e il resto dallo zucchero aggiunto ai cibi più vari. Si ipotizza che i meccanismi con cui gli zuccheri aggiunti aumentano il rischio cardiovascolare spazino dal loro effetto sull’obesità, sull’ipertensione, sull’aumento dei trigliceridi, sul rapporto fra colesterolo LDL e HDL (ma nello studio citato questi fattori erano controllati nell’analisi statistica) e sullo stato infiammatorio cronico. Il consumo di zucchero, soprattutto di fruttosio e saccarosio (disaccaride formato da glucosio e fruttosio) è associato all’aumento della concentrazione plasmatica di Proteina Reattiva C, all’accumulo di grasso addominale e alla resistenza insulinica, a loro volta associati a gran parte delle malattie croniche (Aeberli I et al. 2011 Am J Clin Nutr 94:479). È probabile che il fruttosio sia la componente più nociva degli zuccheri che si aggiungono ai cibi. Il fruttosio, come dice il nome, è contenuto nella frutta (e nel miele), ma decine delle altre sostanze che lo accompagnano, in particolare vitamina C e polifenoli, ne controllano gli effetti nocivi. Frutta e miele, infatti, hanno piuttosto azione antinfiammatoria.
È importante condurre altri studi, ma intanto rispettiamo almeno le indicazione dell’OMS.

Franco Berrino, LaGrandeVia, Settembre 2016